30 novembre 2013

Il ragazzo e l'anziano


Vi racconto della bellezza e della stranezza della vita, di come un giorno come tanti può divenire, da un istante all’altro, un giorno che non ti scorderai tanto facilmente. Ecco, stavo facendo la fila alla cassa di un supermercato e, davanti a me, c’era un anziano, lo osservo, fa fatica ma non lo vuole dare a vedere, dal carrello svetta il suo bastone, più che un bastone è una stampella, lui invece è appoggiato al carrello. Nel carrello c’è anche il suo cappello, oltre a una scatola di pomodori, tre confezioni di yogurt e qualcos’altro; ma soprattutto noto una bottiglia di vino, penso fra me e me: “hai capito all’anziano!”. Arriva alla cassa, noto che fa difficoltà a mettere le cose sul nastro trasportatore, ma non lo vuole far notare, io voglio aiutarlo, fare qualcosa, ma non so perché non mi muovo, non faccio niente, resto lì, dietro di lui, a guardare. Noto che ha un suo metodo, che in fondo se la cava bene a compiere quel gesto di prendere una cosa dal carrello e metterla sul nastro trasportatore, poi va a posare il carrello e torna alla cassa, paga e inizia a mettere sue le cose in due buste. Nel frattempo arriva il mio turno, pago e metto, affianco a lui, le mie cose un una busta. Lo guardo, penso: “ora come deve fare ad arrivare a casa?”, e finalmente trovo il coraggio per chiedergli, a bassa voce, se ha bisogno di una mano. Nessuna risposta; lo ripeto, stavolta a voce un po’ più alta, lui mi sente, e con un sorriso mi dice di no, che ce la fa da solo, almeno fino a quando può. Non so perché ma mi aspettavo quella risposta, però non mi convince; aspetto che si sistemi: la stampella con una busta da una parte, e l’altra busta dall’altra; sarà il metodo che usa sempre, il suo metodo. Lui mi guarda, quasi volesse dirmi: “hai visto? Ce la faccio ancora!”; decido di incamminarmi con lui. Lui, uscito dal supermercato si ferma, mi guarda, e  inizia a parlare: “Sai, ci devi scusare se vi abbiamo lasciato questo paese così come è adesso; si dà tanta colpa ai giovani, ma la colpa ce l’abbiamo noi, noi che abbiamo permesso questo.” Sono senza parole, non so perché ma rimango lì, fermo, quasi spiazzato dalle sue parole; inizia a camminare, noto in lui una voglia di vivere unita ad una insoddisfazione di se, mi racconta di avere 90 anni (io glie ne davo una 70ina), ha sei nipoti che non vede tanto spesso, e mi racconta che non si abitua alla vecchiaia. Infatti ogni venti passi che facciamo, lui si ferma, ma senza smettere di parlare. Mi racconta che negli anni 60 fino ai 90 lui e la sua generazione hanno, in pratica, quasi distrutto il mondo, si sono arricchiti troppo, e nessuno diceva niente perché tutti ci mangiavano. Si vede che è in pena con se stesso, è arrabbiato, mi chiede nuovamente scusa per quello che ha fatto; poi mi chiede che scuola faccio; dico che l’ho finita e ora frequento l’università, che sono fuorisede; mi dice di non mollare, di andare avanti, perché noi possiamo migliorare quello che loro hanno fatto. Arriviamo all’angolo, lo vorrei accompagnare fino a casa ma lui dice di no, per la terza volta mi chiede scusa e se ne va.

 

 

 
Davide Mancino



 

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